Cibo vivente

Cibo vivente
Io sono il pane vivo. Il cibo vivente. Un cibo vivo che direttamente trasmette la vita a viventi. Da vita a vita.
I nostri cibi, sono ricavati o da animali morti, o da piante morte. Morti per alimentare un vita destinata alla morte. Anche le creature ingoiate vive, come dai coccodrilli, devono morire negli acidi gastrici per alimentare la vita di chi li ingoia.
Gesù è vivo, e la sua presenza tramite l’Eucarestia è una presenza viva. Perciò la sua umanità (carne) entrata in noi produce vita eterna, in chi vivrà di Gesù.
La fede in Gesù Risorto è un nutrirci di cibo vivo. Voi siete risorti, perché la vostra vita è compiegata da Cristo in Dio. Il Risorto non muore per farsi nostro cibo. Egli è risorto per non morire più e ogni suo accostamento personale a noi, attraverso il Vangelo, l’Eucarestia, la Chiesa, avviene da vivente a vivente in attesa della vita definitiva. Paolo desidera la morte per entrare nel pieno della vita: bramo dissolvermi ed essere con Cristo.
Non è un dissolversi da suicida, ma è un perdersi totalmente in Gesù. Ecco l’effetto del cibo vivente. Quel cibo destinato a non sciogliersi in chi lo mangia, ma dissolvere in sé chi lo mangia. Gesù cibo segue la eterna logica di Dio, del Dio vivente, che crea la vita, perfino nell’uomo limitato dalla morte.
L’Eucarestia è l’anticipo della nostra vita eterna, e a questa è destinata dal Padre. Chi mangia me, non morirà mai.
19.08.18

Lui opera ancora

Lui opera ancora
Quando incontriamo l’uomo che crea, in qualunque modo anche solo respirando, allora incontriamo il Padre che opera.
Non solo l’artista dichiarato è un creatore, ma anche il bambino che traccia segni o che lotta con i pastelli regalati dalla zia.
La cucina è il luogo quotidiano della creazione umana, tanto necessario quanto benedetto. Spesso si ringrazia Dio per il cibo, mentre sempre si deve ringraziare per chi allestisce il cibo.
Ogni professione, intellettuale o fisica e manuale, è il luogo dove il Padre si diletta a continuare la sua creazione, poiché l’uomo è posto nell’Eden non solo per godere, ma anche, come ricorda il Genesi, per operare. Il Padre vive un amore intenso e perciò non statico.
Quando una persona mi aiuta anche nel mio interessarmi di blog, quella persona mi porta accanto l’operare di Dio. Non per nulla è detto che Dio crea il mondo e lo sorregge.
La diffusa opera di Dio facilmente l’ammiriamo nella natura, e non raramente ci dimentichiamo di vederla nelle persone.
Il “laudato sia” di S. Francesco non sempre ci instrada ad ammirare Dio nell’uomo e nella donna, non solo nell’armonia della costituzione corporea, ma nella loro capacità operativa, creativa, emotiva e spirituale. Ammiriamo i santi, ma non ci accorgiamo delle quote di santità presenti in ogni persona.
15.08.18

Del tu a Dio

Del tu a Dio
Una persona educata non deve dare del tu a un adulto, soprattutto se questi riveste autorità o autorevolezza. E perché noi siamo tanto maleducati da dare del tu addirittura a Dio? Possiamo farlo senza vergognarcene.
Se leggiamo qualche missiva di S. Luigi Gonzaga, questi dava del lei a sua madre stessa. Lui era una persona per bene con nobili sentimenti. Anche Teresa d’Avila dava del voi a Dio. E noi pretendiamo di dare del tu a Dio!
La cosa appare più evidente, quando Gesù dava del tu al Padre. Lui sì, perché era “consustanziale” al Padre. Lo disse lui: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Ma la cosa si fa eclatante, quando Gesù ci indica di dare del tu al Padre: “Quando pregate dite: “Padre nostro, sia fatta la tua volontà””. Dove sta il rispetto verso una persona autorevole?
Eppure noi sperimentiamo molta dolcezza, quando ci immergiamo (e lo siamo sempre!) nel Padre, e gli parliamo con un tu! Ci sentiamo in famiglia, dove le distanze si accorciano. È lui, che in Gesù ci ha detto: “Diamoci del tu”.
È soave che, appena apriamo il cuore alla preghiera, l’incontro con Gesù e con il Padre, nello Spirito, lo percepiamo come il nostro autentico modo di essere.
Allora viviamo “da figli”. Stiamo finalmente diventati piccoli. “Se non diventerete fanciulli, non entrerete nel Regno dei Cieli”. Sappiamo che il Regno dei Cieli è semplicemente il Padre. Il tu a Dio non è un vezzo da snob (io do del tu al Presidente della Repubblica), ma una gioiosa presa di coscienza di essere figli, ma non adottivi.
26.07.18

Prolunga di Gesù

Prolunga di Gesù
Ciascuno di noi, e tutti noi, che crediamo in Gesù, proseguiamo la “sua” chiesa nel tempo. È l’impegno e il valore del nostro vivere.
In me, in noi, continua Gesù nel tempo. Tragica la svista di taluni cristiani, che addossano sui preti e sui vescovi il compito (e l’inconcepibile grazia!) di essere continuatori di Gesù, dispensando il “laico credente” (contraddizione in termini?) dal sentirsi ed essere Gesù nella storia.
Nella nostra fede, prodotta con la presenza attiva dello Spirito Santo, sta la forza di essere il presente di Gesù, e quindi la missione di vivere Gesù nella Chiesa per tutta l’unica comunità dei credenti, e nel cosmo e per tutto il cosmo. Vera nostra altezza, non cambiabile con altre povere altezze del mondo.
È un semplice impegno, che richiede soltanto l’essere esistenti di battezzati.
Leggo nei giornali abbastanza spesso articoloni sugli “scandali” del clero, dei vescovi, dei cardinali. Articoli scritti con turpe compiacenza. L’articolista spesso è un battezzato, magari un po’ fedigrafo, e non si sente in lui il bisogno di supplire in qualche modo al male che sta descrivendo, con la propria virtù e con la propria fede. Eppure l’esser a conoscenza di qualsiasi male, prodotto dagli uomini, nostri consorti davanti a Dio, richiederebbe pietà e preghiera, per ricucire gli strappi morali di qualsiasi uomo, e soprattutto gli strappi morali dei nostri consorti nella fede.
Anche la misericordia nostra, è un prolungare la misericordia di Gesù nella storia.
13.08.18

Gentilezza diffusa

Gentilezza diffusa
La gentilezza di Dio è diffusa. Sì: lo vediamo nella gentilezza delle aurore e dei tramonti, nelle costellazioni ammiccanti dei cieli, nel brillare dei fiori sullo sfondo del verde.
E gli occhi dei bambini? La loro tenerezza, la loro trasparenza anche quando piangono?
La tenerezza di Dio mi raggiunge tramite l’affetto e la bontà di chi mi aiuta. Ogni giorno tocco con mano l’attenzione continua da cui sono circondato. Le occasioni sono infinite, disseminate in ogni momento della giornata. Le indicazioni per come affrontare la giornata, la compagnia che mi avvolge, l’occhio che mi guarda con tenerezza.
La tenerezza di Dio mi accarezza anche solo nello sguardo di chi mi incontra con bontà.
In me sento la tenerezza di Dio che mi fa vivere. Una vita che si rafforza, quando anch’io cerco di essere tenero, soccorrevole, riconoscente per tutto il bene che mi tocca.
Ecco: in questo momento nel quale sto scrivendo, mi raggiunge una approvazione affettuosa per il mio lavoro. È tenerezza, che mi arriva e non muore in me, ma si prolunga nella riconoscenza e nel ringraziamento agli uomini e al Padre.
Dio tenero ogni istante, che diventa commozione nella preghiera, l’autentica preghiera, quella che intenerisce, quando possiamo vivere con tutto noi la dolcezza della preghiera.
09.08.18

Il Padre e la preghiera

Il Padre e la preghiera
Il Padre che ci ama, desidera che stiamo a contatto con lui, lui che non interrompe mai il contatto con noi. Ossia il Padre desidera la nostra preghiera di figli e da figli.
Il suo desiderio è desiderio di uno al quale nulla è impossibile. Perciò infonde in noi il suo Spirito, affinché noi siamo in grado di essere posti al livello di nostro Padre, per dirgli: “Tu”.
Il Padre, nel suo affetto per noi, crea in noi la preghiera. A noi rimane il “compito” di accettare la “sua” preghiera diventata nostra, fonte di tenera confidenza. Il nostro pregare in realtà è il suo amare, che egli trasforma nel nostro stesso amore per lui.
La preghiera di Gesù non è un rito religioso comandato da chissà quale rituale clericale. Gesù prega semplicemente perché è Figlio, che è unito al Padre, e che si vive nel Padre. Lui e il Padre sono una cosa sola.
Se Gesù è l’emblema del nostro vivere di figli di Dio (autentici, non spuri o posticci perché adottati), e quindi anche del nostro contatto con il Padre, anche nel pregare. Mi chiedo: la preghiera “sacerdotale” di Gesù (come la definiscono), è semplicemente la nostra stessa preghiera? Oppure lasciamo a Gesù i suoi affetti filiali, credendoci non fratelli autentici di Gesù, ma sì e no suoi cugini o compagni di merende?
Se siamo “uno” con Gesù, e se Gesù è “uno” con Il Padre, la nostra preghiera è Spirito di Gesù, che prega in noi.
20.08.18

Anche noi in Gesù

Anche noi in Gesù
Lo Spirito di Gesù prega nella nostra preghiera, con accenti e con atteggiamenti, che noi non riusciamo a cogliere e a esprimere. Eppure qualche movimento della preghiera di Gesù, lo possiamo catturare, grazie alla sua effusione, senza pudori, come troviamo nel Vangelo di Giovanni, dove l’autore riproduce una delle ultime preghiere di Gesù. L’ultima è sulla croce.
L’intero capitolo 17 di Giovanni è la preghiera non occasionale, dove Gesù si lascia andare e dona a noi la sostanza della preghiera cristica e quindi cristiana.
Ripercorrendo con affetto attento quella preghiera, succede che talvolta sentiamo che il nostro affetto, i nostri desideri, si ritrovano nella preghiera di Gesù.
Percorrere la preghiera totale di Gesù, spesso ci fa scoprire la nostra preghiera, e sempre della nostra preghiera ci indica il modo di attuarla. Perciò il soffermarci a contemplare la preghiera di Gesù è il farci rientrare nell’alveo di essa, per essere veicolati nell’incontro costante con il Padre, nello Spirito.
Lo stesso contemplare la preghiera sublime del nostro Gesù, è già pregare con lui. Il contemplare non è guardare distaccati per farne oggetto di speculazione teologica solamente, ma, di più, crea in noi partecipazione, dolce e fervida partecipazione.
È un dono grandissimo di Gesù a noi, pari del dono della sua esistenza per amore che rettifica la nostra esistenza e la salva.
22.08.18

Padre Dio

Padre Dio
Gesù ci ha indicato come pregare e come non pregare. Non pregare come i pagani, che credono di svegliare i loro idoli con lunghe tiritere. Non credere, come gli ebrei (e come troppi cristiani) che certe preghiere sono miracolose, come alcune formule a S. Rita o a S. Antonio.
Allora ecco la ricetta di Gesù: “Chiuditi nella tua camera” (e questo oggi mi è normale) e semplicemente “dite così: Padre nostro”.
Quindi la preghiera è un parlare con il Padre. Era il modo di Gesù, sempre anche sulla croce: “Padre, perdona loro”, “Padre nelle tue mani”. Ma già prima: “Padre, se vuoi, allontana questo calice”, “Ti ringrazio, Padre”.
Chi è questo Padre, al quale Gesù si rivolge e al quale indica a noi di rivolgerci?
Gesù subito lo specifica: Padre celeste ossia Dio.
Il Padre, che noi riconosciamo Dio. Padre che è Dio! Difatti la prima parte del Padre nostro recita: “Sia santificato il tuo nome”. Questa frase non capìta, sembrerebbe dirci poco, però se la guardiamo attentamente, essa è una sottolineatura di quel Padre, che è Dio.
“Noi riconosciamo e accettiamo che il Nome (Dio, per gli Ebrei) è Santo (parafrasi di Dio, il Santo)”. Non dimentichiamo Dio per accettare il Padre, ma nel Padre accogliamo Dio.
Gesù finalmente specifica Dio nel Padre, Padre reale, non fittizio, non adottato, anche quando si dice che “adotta”. Questo Padre, che è Dio, è uno con Gesù, il Figlio che è Dio, e con lo Spirito Santo (Santo parafrasi di Dio).
27.06.18

Essere pastori

Essere pastori
Ultimamente troviamo delle diocesi nelle quali sono state formate le cosiddette unità pastorali. L’aggettivo “pastorale” si riferisce anche a quel “odore delle pecore” detto da papa Francesco. Evidentemente è una forma di organizzazione, reputata utile ai vescovi. Tale divisamento per essere chiaro e accettato stimola alcune domande.
Si sa che la chiesa è un raduno di “popolo che crede a Gesù e alla sua parola”. Ed è bene si capisca se questa organizzazione risponde alle esigenze del popolo cristiano, o alle esigenze di una organizzazione guidata, che compie un proprio disegno, spesso non compreso neppure dai preti coinvolti.
Ho udito dire che le unità pastorali, nelle quali è inserito un prete senza che lui le conosca e ne apprezzi le esigenze, favoriscono la vita fraterna dei componenti. Si spera sia così, sebbene persino i frati organizzati in conventi non sempre godano di grande fratellanza.
Nasce un vistoso pericolo. I preti, trattati da fattori dell’organizzazione, incominciano a sentirsi funzionari piuttosto che pastori, funzionari che devono occupare dei posti. E questo è a scapito di una situazione affettiva, della quale abbisognano anche quegli uomini, che assumono il compito di “pastori”. Pastori, che, nella precarietà, non possono conoscere le pecore, ciascuna per nome.
Un altro pericolo potrebbe essere quello che troviamo scritto nella lettera di S. Pietro: “Pascete il gregge di Dio a voi affidato, provvedendo non costretti, ma con il cuore di Dio, non per avidità di denaro ma con dedizione, non spadroneggiando sulle persone, ma fatevi modelli del gregge” (1a Pt 5, 2-3).
Eppure, nella chiesa di Dio si notano anche evoluzioni. Vedrà chi vivrà.
28.06.18

Peccato infiltrato

Peccato infiltrato
S. Paolo, nella lettera ai Romani, si ferma a lungo sul peccato contro lo Spirito Santo (Rm 2-5). Egli non guarda tale peccato nell’opposizione diretta uomo-Dio, ma nell’opposizione alla verità, comunque essa si manifesti o trasparisca.
Egli si ferma guardando due fronti: come si oppongono allo Spirito gli Ebrei e come si oppongono alla verità conosciuta i pagani.
Ritorna in campo, per gli Ebrei, la legge (o le leggi per i cristiani?). Paolo vede la legge di Mosè sotto l’aspetto dinamico, perché pensa la legge come “pedagogo” verso Cristo, mentre per gli Ebrei essa era qualche cosa di assoluto, di statico con valore in sé. Insomma la Legge assoluta, in qualche maniera deificata, mentre l’unico vero assoluto è soltanto Dio. Tra parentesi, che cosa dire dei soliti “assolutamente sì, assolutamente no” dei politici, e degli esami di coscienza basati sul decalogo e non su Dio?
Per i pagani Paolo vede il combattere la verità, sotto un altro aspetto: la “staticità” nell’osservazione dei fenomeni naturali, creati da Dio, fermandosi al fenomeno, senza risalire alla causa ultima, ma “interpretandoli” con figure fantastiche, attribuendo a queste le qualità divine. È un opporsi alla verità, a Dio.
Paolo quindi scopre il “peccato contro lo Spirito di verità” anche in ogni singola realtà, dove serpeggia la menzogna (menzogna anti Dio, che è la verità, non solo personale, ma anche nelle sue opere).
La disamina di Paolo è precisa. E quali le conseguenze? Egli le indica.
14.06.18