Assoluto

Assoluto
È vero: le filosofie moderne, quelle affermate dopo il XVIII secolo, pongono come fondamento la Ragione. La Ragione sembra diventare qualche cosa di assoluto. La ricerca quindi deve scoprire questo Assoluto, che, essendo storico, non può essere fermo, quindi sciolto anche dal tempo. È un assoluto che cammina, cambia con il cambiare dell’uomo. Perfino Dio, se c’è, deve essere sottoposto all’assoluto della ragione, sola in grado di affermare la certezza delle cose.
Quale ragione? La mia, quella di Kant, quella di Stalin? Insomma la ragione umana rotola con il tempo, in esso si afferma, con esso passa.
Il bisogno umano di un punto fermo, è vera necessità dell’uomo, oppure è la manifestazione di una sua nevrosi esistenziale?
Il fatto di sostituire l’Assoluto Dio con altri assoluti, come la ragione (ricordiamo la “Dea Ragione” della Rivoluzione francese, insediata nella chiesa di Notre Dame, servendosi del corpo di una prostituta), come il denaro (chi non ricorda il Mefistofele di Boito), come la moda, e come tant’altro. Una serie infinita di assoluto, ritmata dall’evolversi del tempo (questo forse l’unico assoluto dal quale l’uomo non può scappare).
Poi arriva l’unico Assoluto, perché fuori dell’evolversi del tempo, e la gente, spesso, cerca di non pensarci, perché ha troppe cose da fare. Eppure sotto tutto il cercare comunque un riferimento principe, è segno che l’uomo non si sente orientato senza ancorarsi a un assoluto, sebbene creato surrettiziamente dall’uomo e perciò fasullo. Poi viene Dio, ma chi bada a Lui?
28.12.18

Assoluto

Assoluto
È vero: le filosofie moderne, quelle affermate dopo il XVIII secolo, pongono come fondamento la Ragione. La Ragione sembra diventare qualche cosa di assoluto. La ricerca quindi deve scoprire questo Assoluto, che, essendo storico, non può essere fermo, quindi sciolto anche dal tempo. È un assoluto che cammina, cambia con il cambiare dell’uomo. Perfino Dio, se c’è, deve essere sottoposto all’assoluto della ragione, sola in grado di affermare la certezza delle cose.
Quale ragione? La mia, quella di Kant, quella di Stalin? Insomma la ragione umana rotola con il tempo, in esso si afferma, con esso passa.
Il bisogno umano di un punto fermo, è vera necessità dell’uomo, oppure è la manifestazione di una sua nevrosi esistenziale?
Il fatto di sostituire l’Assoluto Dio con altri assoluti, come la ragione (ricordiamo la “Dea Ragione” della Rivoluzione francese, insediata nella chiesa di Notre Dame, servendosi del corpo di una prostituta), come il denaro (chi non ricorda il Mefistofele di Boito), come la moda, e come tant’altro. Una serie infinita di assoluto, ritmata dall’evolversi del tempo (questo forse l’unico assoluto dal quale l’uomo non può scappare).
Poi arriva l’unico Assoluto, perché fuori dell’evolversi del tempo, e la gente, spesso, cerca di non pensarci, perché ha troppe cose da fare. Eppure sotto tutto il cercare comunque un riferimento principe, è segno che l’uomo non si sente orientato senza ancorarsi a un assoluto, sebbene creato surrettiziamente dall’uomo e perciò fasullo. Poi viene Dio, ma chi bada a Lui?
28.12.18

Parlere di Dio

Parlare di Dio
Mi sembra di scorgere in colui che si dichiara ateo, la pretesa di giudicare ciò che si riferisce a Dio, utilizzando gli schemi umani.
C’è dell’ateismo nascosto, anche in chi si proclama credente, ma crede a quel Dio, che corrisponde alla propria misura.
Noi stessi corriamo il pericolo di un qualche ateismo, quando, per esempio, la misericordia di Dio la vediamo secondo certe forme nostre di lassismo.
A noi riesce difficile pensare che la misericordia eterna del Padre, abbia previsto la passione atroce di Gesù. Conseguentemente ci è ostico ringraziare il Padre per le sofferenze, che subiamo. Eppure tutto e sempre è misericordia, in questo nostro quotidiano vivere una vita voluta e sostenuta dal Padre.
Non si tratta di abbandonarci a una quota di fatalismo: il male deve essere cancellato. Altrimenti quale senso avrebbero gli interventi di Gesù a beneficio dei malati? No, si tratta invece di scoprire la grande misericordia di Dio, nel permettere il male. Almeno per quell’effetto positivo della preghiera, cioè di quel “liberaci dal male”. Se il nostro male è stimolo a pregare, ad assumere un contatto più stretto e più cosciente con Dio, il male diventa grazia, se non per sé almeno per l’effetto della preghiera.
Le misure di Dio sono infinite. Quindi superano di gran lunga le nostre misure. Perfino quando affermiamo che Dio è infinito, già misuriamo Dio con il nostro concetto di “finito”.
Gesù, l’amico sempre caro, ci indica il modo più semplice di “definire” Dio, indicandolo nelle modalità, con le quali arriva a noi. La prima è la sua misericordia paterna.
23.04.19

Ardeva il cuore

Ardeva il cuore
Può configurarsi il nostro debole, quasi implicito amore al Padre, come un amore di esiliati? Desiderio di un bene lontano?
Potrebbe, questo amore di esiliati, essere in armonia con la preghiera a Maria, alla quale ci si rivolge come “esuli figli di Eva”?
Sarebbe un amore nostalgico, quasi poesia conforme al romanticismo.
No. Perché Gesù, il Risorto portatore di Dio al mondo, ci assicura che è con noi, fino allo scadere del mondo.
Esuli, oppure già introdotti nell’amare Dio, sebbene ancora non sazi della pienezza di Dio. La pienezza di Dio non potrà mai entrare nel contenitore della nostra vita, in modo adeguato all’infinito Padre. Eppure Gesù ci assicura che chi vede lui vede il Padre. Noi ancora siamo privati della visione totale di Gesù. Occhi obnubilati come gli occhi dei discepoli di Emmaus: non vedevano, eppure il loro cuore “ardeva” quando lo sentivano parlare.
Gesù è percepito prima dal cuore e poi egli si svela.
Ardeva il cuore dei discepoli, mentre Gesù presente parlava. Accesi dalla parola, prima che dalla rivelazione, che li fa correre per la gioia.
È il destino di noi chiesa: ardere prima di tutto, a causa della parola, per poi accorgerci della sua presenza. Non è forse questa la logica dell’incontro nella Messa?
Lasciare che il nostro cuore arda nell’udire o nel leggere la Parola del Signore. Imbeverci di Parola, che non è una lettera spedita agli esiliati, ma è una presenza nella “sua” chiesa.
25.04.19

Il senso della missione

Il senso della missione
La vocazione cristiana è contrassegnata dall’urgenza di essere missionaria. Tale qualità, nella storia, non poche volte fu intesa come dominio. Il Medio Evo è un triste esempio di un cristianesimo come dominio, fino alle forme di soppressione degli eretici o della lotta armata per convertire i Sassoni.
La missione cristiana non è per dominare, nemmeno con la polemica teologica, ma l’emanazione nel mondo della salvezza iniziata da Gesù. Espansione di Spirito, non dimostrazione di potenza.
Oggi si ridesta questa necessità della missione, che talvolta è intesa anche come invio di missionari.
Però si sente forte il bisogno di una missione nel vecchio mondo della cristianità, ormai anemico e scheletrito a causa dell’esodo. È necessario riportare a Gesù, che può essere incontrato dentro o fuori delle strutture. Le strutture, pur utili, non sempre sono necessarie all’annuncio di Gesù.
Questa non assolutezza delle strutture per vivere lo Spirito, che anche alle strutture può adattarsi, può essere male interpretata. Si incontra una tendenza a distruggere le strutture, per favorire l’annuncio. Ho udito perfino lo slogan: “Meno Eucarestia e più insegnamento. Sembra che sopprimere i luoghi dell’Eucarestia sia inteso, anche da chi si crede responsabile, come facilitazione a uscire nelle piazze per annunciare il Vangelo. Ma, dico, quale Vangelo può sopprimere l’Eucarestia? Si vuole scambiare l’evangelizzazione dentro un’Europa, che vanta una chiesa a ogni chilometro, con l’evangelizzazione simile a quella fatta in Africa, dove è necessario percorrere cento e più chilometri per imbattersi in una chiesa.
22.04.18

Nuovo campo di sterminio

Nuovo campo di sterminio
Vedo celebrare in molte maniere la giornata del ricordo: molto shoa, poche foibe. Mi viene però il dubbio che si insinui dentro questa enfasi contri i “campi di sterminio” un fariseismo italiano ed europeo, che non vuol vedere quel nuovo e ampio campo di sterminio che è diventato il Mediterraneo.
Sterminio di gente illusa, che si ripromette di giungere alla libertà e al benessere, e si trova sprofondata nel mare, nel “mare nostrum”, ossia nei nostri lager modernizzati.
Siamo tutti d’accordo che certi esodi di gente illusa debbono ter-minare. Però l’organizzazione umana, e non guidata a muso duro (mi fa ricordare la faccia di un tale che urlava con tono spiccatamente isterico e istrionico da un balcone di Roma, quando io ero bambino) è ben altra cosa di una tragica respinta. Forse mi illudo, ma spero che anche i politici europei ed italiani abbiano un cuore.
Trovo gente che batte le mani al modo di far annegare la gente. Non so se questo è l’atteggiamento di Dio Padre.
La prima reazione è il pianto e la preghiera. La seconda, possibile a tutti, è sottrarre l’appoggio morale e politico ai responsabili di questo errore, a cominciare dagli schiavisti e dagli scafisti. E poi richiamare alle proprie responsabilità umane e politiche quelle persone, che, al dire di Bassetti, si sentono ancora libere e forti.
A una conduzione politica, inficiata da antiumano, poter vedere spuntare e contrapporre una politica umana.
21.01.19

Fare la verità

Fare la verità
Perché Gesù mi chiede di fare la verità, e non soltanto di accettare la verità? Ossia essere autore di verità, e non soltanto utente?
Chi fa la verità arriva alla luce.
Gesù è la verità. Io devo fare Gesù per raggiungere la luce. Io faccio la verità, quando aderisco a Gesù, a quel Gesù che s’impegna con “in verità, in verità vi dico”.
La mia adesione alla verità non è adesione a un principio astratto, né solamente alla Legge di Mosè, o ai suggerimenti soavi delle beatitudini, ma alla persona che proclama quelle beatitudini, e che nelle beatitudini ha versato tutto se stesso.
Fare la verità coincide, per il credente a essere tutto di Cristo, ossia a essere cristiani, o cristici. L’unica nostra verità certa è Gesù. Le altre affermazioni, che vantano la pretesa di essere certe, sono sì e non piccoli lacerti di verità. Gesù è verità piena, totale.
Già il profeta diceva che solo Dio è verità sicura, mentre le altre verità sono come pozzi senza fondo che non contengono l’acqua.
Fare Gesù per raggiungere la luce, può apparirci arduo. Gesù allora, nel suo amore che non vuol perderci, ci indica anche delle scorciatoie, tutte a nostra portata. Sono scorciatoie quotidiane. “Ciò che avete fatto a questi piccoli, l’avete fatto a me!”.
I piccoli che ci attorniano sono innumerevoli. Perciò sono una provvidenza, affinché arrivare alla luce sia agevolissimo.
Forse è opportuno chiederci se ci interessa la luce. Perché il fare la verità è in relazione alla luce.
Dio è luce. Ci interessa Dio, e, in Lui, la nostra salvezza, la nostra gioia, la nostra piena beatitudine?
14.04.19

Gesù esultò

Gesù esultò
In quell’ora Gesù esultò nello Spirito Santo. Perché ai piccoli è stato rivelato il regno. Esultanza perché ha trovato persone semplici che si sono profondamente sintonizzate con lui. L’esultanza della condivisione nella verità e nella carità.
È, quest’esultanza, anche nostra, quando ci sentiamo assieme nella stessa situazione di fede. Possiamo esultare anche con persone mai conosciute, quando le sentiamo in armonia con la nostra esperienza di Dio.
Qualunque persona, che incontriamo in qualsiasi modo: presenza, colloquio, trasmissione scritta, telefonica, radiofonica o televisiva (mi sovviene la trasmissione televisiva di Giacomo Celentano).
Lo Spirito del Padre, è sempre con noi, quando le distanze si annullano, nel sentire altri che condividono la nostra stessa esperienza di fede.
Solo la fede in Gesù permette di vivere gioie comuni, le gioie che nascono da autentiche esperienze di fede, vissuta ed espressa.
Evidentemente non si tratta di quelle persone che, parlando, condividono le nostre idee, ma di quelle persone che, esprimendo se stesse, si illuminano e illuminano il cuore di chi è presente o che comunque viene a contatto con l’esperienza di fede di altri.
Gesù entra in una situazione di esultanza, quando ode il racconto del lavoro “apostolico” dei suoi discepoli. Egli vede l’opera di Dio: Satana precipitare. Il male vinto, la cattiveria superata, l’infedeltà svanita. Ed ecco: “in quell’occasione (ora) egli esultò”. Così possiamo esultare noi pure.
20.04.19

Il tabernacolo del Vangelo

Il tabernacolo del Vangelo
Sappiamo che il Vangelo dai credenti non è letto, è semplicemente assimilato, come il cibo.
Il libro, dove è contenuto il Vangelo, è il tabernacolo della Parola di Gesù, pari ai tabernacoli dell’Eucarestia, il Corpo di Gesù.
Due tabernacoli che ci vengono spalancati, durante il raduno della Messa.
Nelle chiese monastiche e conventuali, il testo del Vangelo è sempre posto in un luogo riservato. Ciò che purtroppo non sempre avviene nelle nostre case, dove il Vangelo (quando c’è!) è affiancato al libro di scuola, nel migliore dei casi.
L’Eucarestia, secondo l’uso di oggi, è assunta in situazioni particolari. Il precetto segna almeno una volta l’anno, evidentemente per i meno fervorosi.
Il Vangelo invece può essere assunto in qualsiasi momento della giornata. Mi sovvengono le letture che si facevano nei seminari, durante il pranzo. Non ricordo bene se noi eravamo più attenti alla minestra o alla lettura.
In alcune famiglie, nei vecchi tempi d’oro, all’inizio del pasto si leggeva una frase del Vangelo. Prima il cibo di vita eterna e poi quello per alimentare una vita mortale.
S. Girolamo diceva di dormire sopra il Vangelo. Forse per sentirne l’influsso benefico durante il sonno. Quasi una alimentazione per osmosi.
Comunque dipende dal modo con cui noi consideriamo il Vangelo, Parola certa di Dio, o lettura più o meno opzionale, lasciata alla sensazione del momento.
Con l’avvento provvidenziale della stampa il Vangelo uscì dalle chiese e dagli scrigni, e si consegnò a tutti, quasi ampliando il grande dono del Padre, che è l’Incarnazione.
17.04.19

Vangelo e gioia

Vangelo e gioia
Il Vangelo è frutto di amore. Ogni pagina trasuda di amore. E soltanto amandolo si intuisce e si gusta. Scorrere le pagine del Vangelo, o per curiosità o per “leggere qualche cosa”, in noi non nasce nulla, perché manca la sintonia, tra ciò che il Vangelo è (Persona che si offre) e la persona che non è tutta dentro l’azione che sta compiendo.
Ci si immerge nella lettura del Vangelo come abbandonandosi a un abbraccio. È bello e necessario abbandonarsi al Vangelo, nutrire una certa passione, come quella che mostrava Benigni, quando declamava Dante.
Il Vangelo lo si gusta, facendolo, o almeno proponendosi di farlo.
Il Vangelo lo si fa, non solo sapendo che quanto è scritto non è un semplice racconto, e neppure una sollecitazione, ma vivendolo come “cosa già nostra”. Infatti noi siamo già partecipi di Gesù, e quindi partecipi di ogni sua espressione.
Uno dei segnali della nostra partecipazione di Gesù-Vangelo, è una certa commozione che sorge nel contatto con lui.
Ricordo di aver assistito a una persona, che declamava una poesia di Pascoli. Era così presa dal testo, che si mise a singhiozzare e non poté completare la declamazione.
Non dico di arrivare a tanto; però assistere a una lettura piatta del Vangelo, durante la Messa, lascia perplessi, quasi tristi.
Le “letture” della Messa, sono lì per indicare la bellezza e la forza del dono di Dio, che ama e che salva. Sono il trionfo dell’amore di Dio, che proclama la strada della gioia umana; e chi proclama non salta di gioia!?
Le “letture” ci dicono quanto Dio in quello stesso momento della lettura ci ama e ci salva, e purtroppo spesso il nostro cuore resta freddo!
15.04.19