In Gesù

In Gesù
Quanta bontà in nostro Padre! Dio si è servito anche della cattiveria degli uomini per comunicare la sua salvezza. Gli uomini hanno inflitto la croce a Gesù, e il Padre (operazione sublime!) è riuscito a estrarre anche dalla croce il dono di salvezza degli uomini.
Noi, di solito, rispondiamo al male con il male, ai delitti con il castigo, direi: giustissimamente! È la legge del taglione, che regge tutta la legislazione umana, bene o male riuscita. La giustizia di Dio, non è analoga a quella degli uomini, e quando gli uomini di chiesa (di qualunque grado!) pretendono di comandare e di giudicare secondo lo stile umano, si dimenticano che “i grandi di questo mondo fanno così, ma voi no!”.
Quando, durante i miei studi di teologia accademica, dovetti subire le lezioni su la Chiesa quale società perfetta secondo i canoni del diritto romano e civile, io sentivo che quella perfezione, non era secondo i canoni della libertà dello spirito, indicata da Gesù e da Paolo. Purtroppo non si partiva dal Vangelo, relegato anche negli studi accademici, a un corso secondario di esegesi, mentre trionfavano la teologia dogmatica e la teologia morale.
Adesso nella mia meditazione Gesù è sempre il Gesù del Vangelo, centro della nostra vita che deve crescere, e semplificazione di Dio, che continua a discendere, Dio amante dell’Incarnazione. Gesù centro, che ci comunica il Padre. Cristocentrismo e Patrocentrismo si unificano, perché chi vede Gesù vede il Padre, non due realtà separate o gerarchizzate, ma l’unità trinitaria comunicata a noi.
14.07.17

Il riferimento: Dio e il prossimo

Il riferimento: Dio e il prossimo
Io ho sottolineato, nei volumini da me pubblicati sui santi, la frase “uomo santo”. Sento spesso dire: “Un sant’uomo!”. Ma temo di porre sotto luce una santità a scapito dell’umanità; perciò preferisco preporre l’uomo al santo.
Dio stesso, il Santo totale, quando volle parlare chiaramente decise prima di farsi uomo in Gesù (Incarnazione) e poi, con Gesù, parlare e compiere i segni. Quanto più scopro l’uomo Gesù, tanto più esalto la santità da lui vissuta nello Spirito Santo.
L’uomo Gesù ci fa sempre avvicinare a sé, perché lui non è autoreferenziale, come certe decisioni fratesche, per attuare le quali non è considerato l’impatto con la gente, ma le proprie esigenze interne. Gesù, anche quando parla di sé o agisce non è mai autoreferenziale, neppure quando dice “Io sono”. “Io sono la via”: Gesù pronuncia questa frase non autoreferenzialmente, ma per aiutare l’Apostolo ad andare verso il Padre. Dice di sé, per aiutare la fede dell’Apostolo, che dichiara di non conoscere la via per arrivare al Padre.
Tutte le volte che Gesù dice di sé, lo dice o in riferimento al Padre (io e il Padre siamo una cosa sola) o per aiutare la fede dei suoi (abbiate fiducia: io…) o per svelare ai propri avversari l’opera e la volontà del Padre, affinché la verità sia accolta, quella verità che salva.
Le istituzioni, anche religiose, autoreferenziali, non sono sulla linea di Gesù. S. Francesco voleva condurre tutti su questa linea: “La regola e la vita del frate è osservare il Vangelo”… poi, disgraziatamente arrivano le leggi, la sociologia, le inchieste, le costituzioni, i decreti, insomma le paure che fanno moltiplicare le leggi.
10.06.17

Carità e preghiera

Carità e preghiera
Gesù fa notare la discrasia degli Scribi: pregano a lungo e depauperano i poveri.
L’aiuto al prossimo è null’altro che continuare l’amore di Dio, che passa in Gesù, e da Gesù a noi: l’avete fatto a me! La carità è il modo più semplice di essere in Dio, e quando siamo in Dio, allora è semplice parlare con lui, cioè pregare.
Perciò dalla carità alla preghiera. Fuori della carità la preghiera è formula, rito, cerimonia, non dialogo. Chi non sa dialogare con il prossimo che si vede, non sa tanto meno dialogare con Dio, che non si vede.
L’autoreferenziale è uno staccato dal prossimo egoisticamente. L’autoreferenzialità non è solo del singolo, del gruppo, e perfino della Chiesa. Importante è non chiedere: “Chiesa che cosa dici di te stessa” (Paolo VI), ma che cosa Dio dice di te. Né chiesa né cristiano si giustificano da se stessi, ma chi giudica e giustifica è solo Dio. Essersi abituati alla voce di Dio nello Spirito è salvezza.
Il Concilio Vaticano Secondo, inizia la Dei Verbum, proprio mettendo in chiaro, che scrivono e parlano ascoltando la voce di Dio (Dei Verbum appunto). L’atteggiamento dell’ascolto non è un episodio, ma una costante, perché la voce di Dio si manifesta nello scorrere del tempo. Dio non è motore immobile, al modo di Aristotele, ma il Padre che segue passo passo il suo popolo. Proprio perché è Padre. Come apre gli uomini al progresso della scienza così segue i suoi figli nel progresso della fede, destinata sempre a sfociare nella contemplazione.
10.06.17

Non giudicare

Non giudicare
L’applicazione dei dettati del Vangelo, sono indicazioni per la nostra vita, ma non sono motivo per giudicare il prossimo. Proprio stamani una persona pia credeva di applicare la frase “chi bestemmia il Figlio dell’uomo” a una persona per condannarla. Si tratta della solita svista, comune al nostro modo di agire: fermarci alla lettera per evitare lo spirito. Lo spirito è quello di non giudicare le persone dai comportamenti, ma dalle reali intenzioni, intenzioni che sono sconosciute, addirittura dallo stesso agente.
È facile che accada di addomesticare le frasi del Vangelo, per servircene a nostro uso e consumo, e spesso alla nostra voglia di condannare, per sentirci più bravi e più buoni degli altri. Se non erro, questo è l’atteggiamento del fariseo nei confronti di ogni pubblicano.
Noi non sempre riusciamo a distinguere l’azione dall’agente. Se ci accade di vedere un’azione sbagliata (o che alla nostra corta vista appare sbagliata secondo certe prospettive personali, che a noi servono da principi indiscussi!), allora giudichiamo errante e sbagliato chi commette quell’azione.
È toccato sovente a Gesù: lui peccava perché le sue azioni non collimavano con i principi degli scribi e dei farisei, e con loro di tutta la schiera sacerdotale. L’unico santo davvero, giudicato un peccatore, perché non si lavava le mani prima di pranzare!
Già il giudizio di quei sapienti era sbagliato, ma vollero andare fino in fondo: ed ecco la crocifissione. Gesù è stato condannato a morte, perché giudicato secondo un dettato di leggi. Come tutti i martiri (di ogni tempo) sono stati condannati “legalmente”!
15.07.17

Il miracolo della fede

Il miracolo della fede
Gesù compie ancora miracoli? Dipende da ciò che noi intendiamo per miracoli. Per noi è miracolo ciò che si fa vedere (mirabile?) al di fuori dell’esperienza quotidiana: storpi che camminano, malati che guariscono senza medicine o chirurgia, morti che rivivono, insomma ciò che fa meravigliare, se visto e costatato. Allora eccoci recare a Lourdes, o altrove.
Esistono “miracoli” che non si vedono? Che cos’è quel “e i discepoli credettero in lui”? È miracolo ciò che non si costata sensorialmente? Se il miracolo è qualche cosa di straordinario, che dipende solo da Dio, allora ciò che Dio crea dentro di noi, e che l’occhio non può vedere, fa parte del miracolo, ossia di un’opera che non si attua, senza la mano di Dio?
Noi siamo continuamente in una situazione miracolosa, non prodotta da sole forze umane, una situazione che soltanto Dio produce: la nostra fede in Gesù e nel Padre.
Il miracolo è tutto ciò che è prodotto da Dio, e che non sempre si può costatare sperimentalmente nel suo attuarsi. Lo costatiamo soltanto nel suo essere prodotto. Non la misteriosa dinamica, ma i suoi effetti sono visibili. Ma il miracolo della fede, prodotta da Dio grazie allo Spirito Santo, è talmente intimo, che solo chi la sperimenta può accorgersene.
La fede si esprime spesso nella preghiera, un parlare a tu per tu con il nostro Padre. Ascoltandoci, il Padre ci accoglie nel suo stesso livello. Perché noi ci siamo elevati, o perché lui si è abbassato per elevarci (se il verbo nella sua materialità rende) a sé. Forse è meglio dire: per abbracciarci. La fede espressa in preghiera, ci immette in Dio, di cui siamo figli.
13.06.17

Umili come?

Umili, come?
Iniziare dal basso. Solo così la costruzione regge.
Una volta si indicava che il basso, la base, era l’umiltà, ossia l’humus, la terra. Si pensava che, per essere virtuosi, era necessario basare tutto sull’umiltà, sul nostro essere poveri, e riconoscerlo. Poi si poteva costruire per le altre virtù. Virtù, ossia la vis, la forza dell’uomo destinata a crescere. Era l’esaltazione della virtù umana, la quale la stessa persona faceva crescere, ma sempre con l’aiuto di Dio. Dio a servizio del nostro sforzo più o meno eroico.
Gesù si trova umile, perché si trova semplicemente uomo, è “colui che è venuto da Dio”. Umile, illuminato dalla luce infinita, ma sempre umile. Però la sua umiltà viene dall’essere quell’uomo, che Dio ha voluto.
Paolo: voi prima della fondazione del mondo, eravate presso il disegno di Dio.
L’aspetto dell’umiltà non è il riconoscerci noi poveracci, ma il riconoscere che tutto dipende da Dio. È Dio che ha guardato l’umiltà della sua serva.
La cifra base dell’umiltà cristiana, non è l’esaltazione del nostro nulla, ma il riconoscere semplicemente che siamo fattura di Dio, amata da lui. L’umiltà del credente non è considerazione della pochezza umana, ma della grandezza dovuta tutta alle sole mani di Dio. L’umiltà cristiana non guarda la bassezza umana per deprimerci, ma l’opera di Dio che ama, e che crea in noi riconoscimento e riconoscenza. L’umiltà cristiana è, quindi, intrisa di amore riconoscente.
Si inizia dalla base: dal nostro essere creati e amati e quindi riconoscere che ogni nostra potenzialità non viene da noi, ma da Dio. È un’umiltà che non si denigra, ma che si esalta nel Padre, che ci ha fatti.
28.06.17

Umili come?

Umili, come?
Iniziare dal basso. Solo così la costruzione regge.
Una volta si indicava che il basso, la base, era l’umiltà, ossia l’humus, la terra. Si pensava che, per essere virtuosi, era necessario basare tutto sull’umiltà, sul nostro essere poveri, e riconoscerlo. Poi si poteva costruire per le altre virtù. Virtù, ossia la vis, la forza dell’uomo destinata a crescere. Era l’esaltazione della virtù umana, la quale la stessa persona faceva crescere, ma sempre con l’aiuto di Dio. Dio a servizio del nostro sforzo più o meno eroico.
Gesù si trova umile, perché si trova semplicemente uomo, è “colui che è venuto da Dio”. Umile, illuminato dalla luce infinita, ma sempre umile. Però la sua umiltà viene dall’essere quell’uomo, che Dio ha voluto.
Paolo: voi prima della fondazione del mondo, eravate presso il disegno di Dio.
L’aspetto dell’umiltà non è il riconoscerci noi poveracci, ma il riconoscere che tutto dipende da Dio. È Dio che ha guardato l’umiltà della sua serva.
La cifra base dell’umiltà cristiana, non è l’esaltazione del nostro nulla, ma il riconoscere semplicemente che siamo fattura di Dio, amata da lui. L’umiltà del credente non è considerazione della pochezza umana, ma della grandezza dovuta tutta alle sole mani di Dio. L’umiltà cristiana non guarda la bassezza umana per deprimerci, ma l’opera di Dio che ama, e che crea in noi riconoscimento e riconoscenza. L’umiltà cristiana è, quindi, intrisa di amore riconoscente.
Si inizia dalla base: dal nostro essere creati e amati e quindi riconoscere che ogni nostra potenzialità non viene da noi, ma da Dio. È un’umiltà che non si denigra, ma che si esalta nel Padre, che ci ha fatti.
28.06.17

Amore di Dio facilitato

Amore di Dio facilitato
Dio ha bisogno del nostro amore. Non per essere amato, ma per amare, e continuare il suo amore. L’aveva sapientemente compreso e vissuto Madre Teresa. L’aveva detto chiaramente Gesù: “Ciò che fate al più piccolo l’avete fatto a me”.
Se uno dice di amare Dio, e poi odia il proprio fratello è un bugiardo (cfr. I Gv 4, 20). Quindi la domanda non è: “Chi è Dio, perché possa amarlo?”, ma: “Chi è il fratello, perché amando lui possa amare Dio?”.
Chi è il mio fratello, affinché amando lui, ami il Padre? Rileggendo il Vangelo scopro che non solo Gesù è, per me ignorante dei grandi monumenti teologici, la semplificazione del Dio invisibile in un Dio visibile, ma scopro pure che amando il fratello che si vede in lui amo Dio e Gesù, che non si vedono. L’uomo amato è l’ulteriore semplificazione di Dio, dopo quella dell’Incarnazione.
Sì: il suo peso è leggero! Attenzione a non scrollarci di dosso anche le formiche dopo aver evitato l’elefante.
Dio è colui che accondiscende, discende nell’uomo.
Nell’uomo Dio vive l’amore, perché l’amarci a vicenda è semplicemente amore di Dio che si espande, e si espande attraverso la Chiesa, che siamo noi. Però la Chiesa deve reggersi sull’amore, per essere l’amore di Dio nel mondo. Una chiesa organizzata su altro, che non sia l’amore, è una chiesa mondana, nel cuore e nelle manifestazioni. Nella carità si realizza la chiesa, affinché, come scrive S. Paolo, tutto concorra all’unico bene: Gesù nello Spirito.
05.06.17

Luce e tenebre

Luce e tenebre
Il mio desiderio, quando prendo contatto con i presenti dopo la proclamazione del Vangelo, è quella di parlare, non di predicare. Dire il cuore, non le idee, per quanto scelte.
Il Vangelo (di Marco, oggi) ci presenta Gesù trasfigurato, splendente, immerso oltre il tempo, il quale parla con Elia e con Mosè. Pietro ne è colpito, entusiasmato: è stato trasformato nella stessa contemplazione. Egli desidera fissare per sempre quei momenti. Un Gesù che ti travolge di bellezza.
Poi Gesù, nello scendere dal monte, parla della propria passione, della propria umiliazione.
È la seconda faccia della sua esistenza. Gloria e ignominia. Cile il nostro vivere nella commozione della gioia nel saperci veri figli di Dio, e nella commozione sofferta nel dover affrontare le sofferenze del nostro vivere, e i dolori che altri ci gettano addosso.
Il cuore di Gesù passa dal tripudio alla sofferenza, come avviene per il nostro povero cuore. Però come il Padre accompagna Gesù nella trasfigurazione e nel Calvario, così ci accompagna quando il nostro cuore si dilata nella gioia della contemplazione, o si restringe nella compressione del dolore.
La nostra sicurezza e la nostra confidenza è sempre nel sentirci nel cuore del Padre. È bello lo stare qui con lui, che illumina la nostra vita, e con lui che, nelle difficoltà, illumina la nostra strada.
Gesù conosce la luce e conosce le tenebre, e proprio in questa sua capacità di assorbire in sé luce e tenebre, è per noi amico e appoggio. Lui sa che cosa è la gioia e che cosa è il dolore. Lui sa il suo dolore e la sua gioia, perciò può condividere la nostra gioia e il nostro dolore. Fidarci di lui, viverlo vicino e immerso nella nostra vita, lui che si immerge in noi nell’Eucarestia, e in noi rivive trasfigurazione e passione. Lui mandato dal Padre dentro la nostra umanità. 18.02.2016

Comndo o comunione?

Comando o comunione?
C’è una tendenza ad abbandonare le chiese (parrocchie o conventi), dove le persone trovano spazi per incontrarsi e per pregare, e non si pensa ad abbandonare i palazzi vescovili, dove la gente non si raduna, e i magnati trovano spazio per un aureo isolamento, per gridare ordini: proprio come i celebrati generali della prima (soltanto la prima?) guerra mondiale, che abitavano ville e palazzi, e mandavano i poveri contadini, mascherati da soldati, a farsi sgozzare e morire sui cosiddetti campi di battaglia.
È tristissimo destino di chi, bene o male si trova in posti di comando (che dovrebbero essere soltanto posti di responsabilità) di far sgozzare i sudditi (fisicamente e moralmente) nei posti di lavoro.
Certamente S. Pietro si comportava così: mandava altri a farsi uccidere davanti ai pagani, mentre lui si godeva il caldetto in un nido! Oppure Pietro perfino scriveva lettere per condividere risultati e sconfitte delle persone – anche degli anziani, ai quali scriveva – ed essere partecipe della vita reale e delle sofferenze di quanti credevano in Gesù, come lui.
Purtroppo la cosiddetta chiesa si è lasciata invadere dalle autorità del Medio Evo, dalle signorie del Rinascimento, dallo statalismo moderno, per assimilarsi ai poteri mondani, con la pretesa di vincere contro di essi e su di essi. E così abbiamo dovuto attendere il Concilio Vaticano Secondo, stimolato dal modernismo, per prendere almeno coscienza del percorso errato.
26.06.17