Senza un tempio

Senza un tempio
Gesù si contraddice?
Leggiamo il Vangelo di Giovanni: troviamo la cronologia all’inizio e poi alla fine (Passione e Risurrezione). Quando Gesù si trasferisce a Cafarnao, nella narrazione degli episodi della vita di Gesù, sono riportati episodi per indicare la fede nella sua persona, piuttosto che per scrivere una biografia.
Or dunque, il primo episodio narrato è quello che presenta Gesù deciso e perfino violento nel far rispettare la sacralità del tempio di Ge-rusalemme: la casa di mio Padre.
Poi leggiamo anche, quando Gesù si intrattiene con la donna samaritana – episodio che scandalizza i suoi -, che sia il tempio di Geru-salemme sia quello sul Garizzim non sono necessari, perché Dio “si a-dora in spirito e verità”. Prima la difesa decisa, poi un’indicazione di im-portanza relativa, se non nulla.
Contraddizione di Gesù, oppure gerarchia di valori? Adorare Dio è necessario, avere luoghi di culto è relativo, sebbene non inutile.
Una cosa appare sicura: il luoghi destinati al culto per volere, ri-spettabile, degli uomini non “fanno la fede”, però possono favorire mani-festazioni di fede. Comunque la sottrazione di un tempio, o della fre-quenza a un tempio, non pregiudicano affatto la fede, l’amore al Padre, la salvezza. Talvolta perfino aiuta al raffinamento della fede stessa, che deve adorare “in spirito e verità”.
Gli Ebrei temevano che la soppressione del tempio, privasse di Dio la nazione.
Gesù, il mattino, si recava in un luogo solitario, e lì pregava.
13.02.19

Il corpaccio

Il corpaccio!
Mi sovviene quell’educatore (?!) religioso, il quale dovendo educare dei ragazzi alla “spiritualità” (quale?) li rimproverava perché loro pensavano solo al “corpaccio” (autentico!), senza mortificare il corpaccio e, quindi, denigrandolo il più possibile. Ora penso a quell’educatore, che, in cielo, sorriderà con me sul suo passato stile. Difatti non scrivo contro di lui, anche perché ho bisogno delle sue preghiere, ma semplicemente prendendo uno spunto dalle sue parole.
Corpaccio, questo magnifico organismo, voluto così complicato e ammirevole da nostro Padre? Non è lui che, composto il corpo di Adamo, ne fu soddisfatto?
Poteva Dio progettare l’Incarnazione e la Risurrezione, in uno strumento degenere indegno di Dio? Potevano gli apostoli propagare la Risurrezione e Gesù, senza le gambe del loro “corpo”?
Il corpo è magnifico e santo, perché uscito dalle mani del Padre.
Sono gli uomini, nella loro nobilissima pazzia a denigrare l’opera di Dio, a bruttarla, e a brutalizzarla. La cura stupida della faccia, la chirurgia estetica, l’ubriachezza, il vizio e lo stravizio, i delitti, la sessualità disordinata e brutale, la mercificazione del corpo, ecc. ecc. Sono invenzioni per trasformare il corpo in corpaccio, l’opera di Dio trasformata in opera del diavolo, il brutto per eccellenza!
Il corpo è una realtà bella, di cui Gesù si serve per comunicarci il suo amore, e che Gesù eleva a “tempio dello Spirito Santo”, completandone la dignità e la bellezza. Noi siamo fieri del nostro corpo, conservandolo tempio di Dio!
19.02.18

Fare la verità

Fare la verità
Perché Gesù mi chiede di fare la verità, e non soltanto di accettare la verità? Ossia essere autore di verità, e non soltanto utente?
Chi fa la verità arriva alla luce.
Gesù è la verità. Io devo fare Gesù per raggiungere la luce. Io faccio la verità, quando aderisco a Gesù, a quel Gesù che s’impegna con “in verità, in verità vi dico”.
La mia adesione alla verità non è adesione a un principio astratto, né solamente alla Legge di Mosè, o ai suggerimenti soavi delle beatitudini, ma alla persona che proclama quelle beatitudini, e che nelle beatitudini ha versato tutto se stesso.
Fare la verità coincide, per il credente a essere tutto di Cristo, ossia a essere cristiani, o cristici. L’unica nostra verità certa è Gesù. Le altre affermazioni, che vantano la pretesa di essere certe, sono sì e non piccoli lacerti di verità. Gesù è verità piena, totale.
Già il profeta diceva che solo Dio è verità sicura, mentre le altre verità sono come pozzi senza fondo che non contengono l’acqua.
Fare Gesù per raggiungere la luce, può apparirci arduo. Gesù allora, nel suo amore che non vuol perderci, ci indica anche delle scorciatoie, tutte a nostra portata. Sono scorciatoie quotidiane. “Ciò che avete fatto a questi piccoli, l’avete fatto a me!”.
I piccoli che ci attorniano sono innumerevoli. Perciò sono una provvidenza, affinché arrivare alla luce sia agevolato.
Forse è opportuno chiederci se ci interessa la luce. Perché il fare la verità è in relazione alla luce.
Dio è luce. Ci interessa Dio, e, in Lui, la nostra salvezza, la nostra gioia, la nostra piena beatitudine?
14.04.19

Felicità e preghiera

Felicità e preghiera
“Il Padre non mi lascia solo, perché faccio sempre ciò che gli piace” (Gv 8, 29). Ciò che Gesù fa, dice, comunica, lo fa per piacere al Padre. Questa è la grande soddisfazione esistenziale: piacere al Padre.
Quindi tutto quanto Gesù è per noi e ci indica di compiere, è per rendere “soddisfatto” il Padre.
È questa l’eredità, che Gesù ci dona: rendere felice Dio. Dio non ha bisogno dei nostri regali per essere contento. Dio è contento immensamente, e comunica tale contentezza a Gesù, che agendo come il Padre vuole, comunica alla contentezza del Padre.
Noi, in Gesù, rendiamo felice Dio, non perché egli non è felice, ma perché entrando nella Trinità, partecipiamo all’amore del Figlio verso il Padre, nel quale amore Dio è immerso.
Quando Gesù ci stimola alla preghiera, con questa entriamo nella beatitudine di Dio. Rendiamo il Padre contento, perché ci sta trasmettendo la sua felicità.
La preghiera può essere un obbligo o una necessità. Però, come essa si accende, entriamo nella beatitudine di Dio, partecipiamo di tale beatitudine, e quindi rendiamo contento nostro Padre.
Quanto è diverso il “recitare” il Padre nostro, dal rendere felice Dio per l’incontro cosciente del suo figlio. La preghiera supera l’obbligo o il bisogno, per essere felicità di incontro.
Felice il Padre, perché nella preghiera accettiamo il suo abbraccio, e a lui ci abbandoniamo. Indipendentemente dalle formule, l’atteggiarci alla preghiera, è già un’immersione nella felicità del Padre.
15.05.19

Obbedienza?

Obbedienza?
Nella letteratura claustrale si leggono anche facezie.
Alcune riguardano l’obbedienza del monaco o del frate. Il frate è scambiato come un fante di leva, quello del conosciuto “Signorsì, sissignore!”. Un chiaro esempio di obbedienza radicalmente virtuosa, è quello dell’orto. Per saggiare la vera obbedienza al “superiore” (sì, proprio “superiore” è detto, forse in armonia con quel “non essere tra di voi nessun padre, perché l’unico padre è uno ed è quello dei cieli”!), al novizietto veniva imposto di piantare i cavoli con la palla sotto terra e le radici all’aria. Se non obbediva dimostrava di non avere vocazione per lo stato religioso (nel quale tutti erano scemi?).
Venne poi anche la dizione che il vero religioso doveva essere sottomesso “perinde ac cadaver”, proprio come un corpo morto nelle mani di chi comandava (e chissà quali mene aveva fatte per essere costituito comandante).
Qualche santo intelligente, come S. Francesco, indicava di obbedire ma soltanto se il comando non fosse “contro la sua anima o contro la nostra Regola”. Indicazione chiara: non contro la propria vita. Ma ecco la solerte buona volontà, che esemplificava quel “contro l’anima” con il dire che, per esempio, se era comandato di bestemmiare.
In realtà era un “contro la costituzione umana di esseri intelligenti”. L’obbedienza non doveva presumere di annientare l’uomo. Dove andava a finire quel “rationale obsequium” della Scrittura?
Gesù non obbedì mai a ciò che gli imponevano clero e scribi, perché non confondeva la “volontà del superiore” con la “volontà di Dio!”, unica capace di conoscere l’uomo.
29.12.18

L’acqua vino

L’acqua vino
Gesù dice che è venuto per servire, non per essere servito. Il Vangelo tutto è a servizio dell’uomo, soprattutto per il povero e l’ammalato.
Gesù è a servizio non solo a ore o in parte. Servì e serve (lui il Signore!) con tutto se stesso e sempre.
Interessante notare che il Vangelo di Giovanni ci presenta Gesù, che compie il suo primo segno (noi lo diciamo infantilmente: miracolo), proprio quando si trovava “a servizio”.
A Cana c’era Maria. Dal suo comportamento si desume che a-vesse compiti di direzione (comanda ai servitori: fate ciò che lui vi ordi-na!). Con Maria era anche stato chiamato Gesù. Chiamato secondo il testo greco, non necessariamente invitato come spesso si legge. Chia-mato a fianco della madre, della quale Gesù era capofamiglia.
Evidentemente quando viene a mancare il vino, Maria ne viene informata. La situazione non è facile da affrontare: come procurarlo?
Consiglio di famiglia: lo riferisce a Gesù. Sono due in crisi: che cosa possiamo fare tu ed io? Non è venuta la mia “ora”. Comunque si in-terpreti quell’”ora” la situazione non è semplice.
Poi Gesù, servitore, pone a servizio tutto ciò che può, anzi tutto ciò che lui è, lui venuto per servire, e dotato di ogni possibilità per servire, anche della sua unione con il Padre. Il Padre crea, e Gesù crea. Una creazione che deriva da una trasformazione: l’acqua che diviene (!) vino (v.9). Questo verbo “divenire” l’abbiamo incontrato già: Il Logos divenne carne” (Gv 1, 14). Con Gesù dobbiamo abituarci al divenire, come quando i malati diventano sani, e noi peccatori diventiamo santi
20.01.19

Gesù esultò

Gesù esultò
In quell’ora Gesù esultò nello Spirito Santo. Perché ai piccoli è stato rivelato il regno. Esultanza perché ha trovato persone semplici che si sono profondamente sintonizzate con lui. L’esultanza della condivisione nella verità e nella carità.
È, quest’esultanza, anche nostra, quando ci sentiamo assieme nella stessa situazione di fede. Possiamo esultare anche con persone mai conosciute, quando le sentiamo in armonia con la nostra esperienza di Dio.
Qualunque persona, che incontriamo in qualsiasi modo: presenza, colloquio, trasmissione scritta, telefonica, radiofonica o televisiva (mi sovviene la trasmissione televisiva di Giacomo Celentano).
Lo Spirito del Padre, è sempre con noi, anche quando le distanze si frappongono, nel sentire altri che condividono la nostra stessa esperienza di fede.
Solo la fede in Gesù permette di vivere gioie comuni, le gioie che nascono da autentiche esperienze di fede, vissuta ed espressa.
Evidentemente non si tratta di quelle persone che, parlando, condividono le nostre idee, ma di quelle persone che, esprimendo se stesse, si illuminano e illuminano il cuore di chi è presente o che comunque viene a contatto con l’esperienza di fede di altri.
Gesù entra in una situazione di esultanza, quando ode il racconto del lavoro “apostolico” dei suoi discepoli. Egli vede l’opera di Dio: Satana precipitare. Il male vinto, la cattiveria superata, l’infedeltà svanita. Ed ecco: “in quell’occasione (ora) egli esultò”. Così possiamo esultare noi pure.
20.04.19

Volle vicini i suoi

Volle vicini i suoi
Vivere la Pasqua, vivere della Pasqua. Ossia vivere la Risurrezione di Gesù, pregustando in essa la nostra risurrezione.
La comunità si raduna per ritrovarsi nel risorto. Il mondo è paese e ogni comunità cristiana è la nostra comunità e ogni messa è la nostra messa.
Eppure altro è vivere la Pasqua assieme con persone che conosciamo e che solitamente fa la messa con noi; altro sapore è la messa, pur essendo lo stesso Gesù presente, tra sconosciuti, uniti tra di loro dalla stessa fede, ma non dallo scambio di emozioni affettive.
Gesù si era espresso così con i suoi: “Ho tanto desiderato vivere la Pasqua con voi”. Addirittura chiede ospitalità non tanto per vivere la Pasqua con l’ospite, ma proprio con i suoi.
Sembra talvolta che la Pasqua sia davvero “dove vuoi”, mentre il Natale sia tra i “tuoi”.
Per più di uno Pasqua, che per aiutare i credenti è giorno di festa, sia solamente il rito vacanziero della gita, o il passare il tempo con i consanguinei.
Gesù non ha radunato i “fratelli” di sangue, ma i suoi avvinti a lui dalla sua parola e dalla sua persona.
Talvolta si ha l’impressione che la vera Pasqua non sia il cibo eucaristico, ma il panettone o l’uovo di cioccolato. Gesù, nella sua bontà, vola sempre sulle nostre mense anche pasquali, ma desidera che noi voliamo verso la sua mensa, noi, cioè quei suoi che sono legati tra di loro, perché vincolati dalla presenza di Gesù.
Per osservare il precetto ecclesiastico è bastante assistere a una messa: ed è bene. Però radunarci per vivacizzare la “nostra” mensa, è meglio.
20.04.19

Parlare di Dio

Parlare di Dio
Mi sembra di scorgere in colui che si dichiara ateo, la pretesa di giudicare ciò che si riferisce a Dio, utilizzando gli schemi umani.
C’è dell’ateismo nascosto, anche in chi si proclama credente, ma crede a quel Dio, che corrisponde alla propria misura.
Noi stessi corriamo il pericolo di un qualche ateismo, quando, per esempio, la misericordia di Dio la vediamo secondo certe forme nostre di lassismo.
A noi riesce difficile pensare che la misericordia eterna del Padre, abbia previsto la passione atroce di Gesù. Conseguentemente ci è ostico ringraziare il Padre per le sofferenze, che subiamo. Eppure tutto e sempre è misericordia, in questo nostro quotidiano vivere una vita voluta e sostenuta dal Padre.
Non si tratta di abbandonarci a una quota di fatalismo: il male deve essere cancellato. Altrimenti quale senso avrebbero gli interventi di Gesù a beneficio dei malati? No, si tratta invece di scoprire la grande misericordia di Dio, nel permettere il male. Almeno per quell’effetto positivo della preghiera, cioè di quel “liberaci dal male”. Se il nostro male è stimolo a pregare, ad assumere un contatto più stretto e più cosciente con Dio, il male diventa grazia, se non per sé almeno per l’effetto della preghiera.
Le misure di Dio sono infinite. Quindi superano di gran lunga le nostre misure. Perfino quando affermiamo che Dio è infinito, già misuriamo Dio con il nostro concetto di “finito”.
Gesù, l’amico sempre caro, ci indica il modo più semplice di “definire” Dio, indicandolo nelle modalità, con le quali arriva a noi. La prima è la sua misericordia paterna.
23.04.19

Ignoranza e gelosia

Ignoranza e gelosia
Una persona dotata, in qualunque settore artistico, religioso, cul-turale, sociale, dovrà sempre scontare le sofferenze, che gli lanciano o gli invidiosi, o gli ignoranti. È una specie di scotto che si deve pagare, quando la natura è stata generosa.
La storia ci ricorda una persona molto dotata, perfino di una realtà divina, in lei insediatasi, che ha stimolato l’opposizione degli ignoranti, e l’invidia dei potenti.
Questa persona, con i fatti confermava la sua posizione di essere “Figlio eterno del Padre”, e gli ignoranti soprattutto gli ignoranti saliti su una cattedra, come avviene molto spesso, a dirgli: “Chi pretendi di essere tu, che, uomo, ti fai Dio?”
E i potenti: “Troppa gente gli va dietro, uccidiamolo!”.
Ed ecco l’estremo esito dell’ignoranza e dell’invidia: la crocifis-sione. E, ironia!, il primo a riconoscere la grandezza di quel condannato impiccato non fu un connazionale, ma un pagano che esclamò: “Davve-ro costui era Figlio di Dio!” (Mt 27, 54)
Quando una persona è dotata, troverà sempre, persone altrettan-to dotate e, per di più, umili che lo riconosceranno e cercheranno la sua amicizia, però sarà sempre osteggiato, con mirabile costanza, da igno-ranti e da invidiosi.
Essa potrà sempre alzare lo sguardo, fissarlo in un Crocifisso, e dirgli con serenità: “Sono anch’io dalla tua parte!”.
Sentirà che il suo destino si incrocia con quello di Gesù e dirà: “Padre, perdona loro: non sanno ciò che fanno”.
20.02.19